Liceo Classico Marco Tullio Cicerone - Frascati -

Le Vostre Opere, Postate i vostri scritti, i vostri disegni, e le vostre opere grafiche!

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Bostaph!
view post Posted on 25/11/2007, 20:36




Postate le vostre poesie, i vostri racconti o addirittura libri.
Mostrate il vostro talento al tutto il popolo del Cicerone...
Hey ya!
 
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Bostaph!
view post Posted on 26/11/2007, 14:24




Ecco qui una mia poesucciola scritta l'altro ieri

Uomini


Uomini,
come ombre indefinite
si sparpagliano a terra
sul suolo ruvido dell’esistenza
strisciano
basta un bagliore di luce
per farle svanire
ululano
si contorcono
e vociano
contenitori precari di vita,
serenità,
e rabbia
lunatici come pochi
un vuoto li colma quando affogano nel dubbio
uomini
?
 
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view post Posted on 27/11/2007, 16:21
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fine di un tempo.

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Non è la versione definitiva, ma non mi prende di impegnarmici 'sti giorni. L'ho scritta 1 settimana fa perchè ero fermo a casa e non sapevo che altro fare.
Tengo molto al parere degli altri, quindi per chi se la senta...

Windmill's Apologies
o del perchè l'uomo soffra di claustrofobia.


SPOILER (click to view)
Viveva un uomo alle rive del mondo.
Giorni e notti non esistevano; alle nuvole di vapore prendevano il posto nembi densi cangianti, che al tatto sembravano ali degli angeli. Il riverbero arancio, color delle albe e dei tramonti, era di un sole che non esisteva in quei cieli; una luce che esplorava ogni angolo, carezzandone le superfici, senza mai affondarvi un raggio che potesse frastornare quei luoghi: silenti, estemporanei. Così come loro, viveva.
Siedeva ai piedi del mondo. Attorno a lui scorreva, placidamente, come un ricordo che affiora e perisce. Ogni cosa navigava in quell'aria, pungente e fredda, profumata da polveri di petali, di una pianta che non era di terrestre stirpe. Egli era lì. Il solo, nei cieli della fine.
Il mento gli sfiorava il petto, i capelli costeggiavano il viso; le mani raccolte al grembo. Sembrava dormire. Ma le gambe, lentamente, dondolavano. In un cielo eterno, senza suoli alle sue radici, dondolavano.
Sporgeva dal suo lembo di terra. Unico giaciglio, quel morso di manto erboso, dal quale non cadere. Cadere e dimenticare, ed essere dimenticato. Da lì nulla poteva accedere, o fare ritorno. Non prima della fine.
Frangeva le nuvole, col suo esile corpo. Non sapeva dire se fosse lui ad andargli incontro, o loro a muoversi su di lui. Alle sue spalle, giravano lente, talvolta in un senso, talaltra l'opposto, le pale di un mulino, bianco, striato da vene orizzontali di rosso carminio. Si ergeva, diroccato ma dai colori perfetti, laddove quel triangolo di terra si allargava, per assumere la propria base: al vertice opposto, in una stretta convergenza, l'uomo sedeva.



Lo vidi dalla Torre. Trovai un giorno una finestra, rettangolare, opaca, e non seppi resistere. Passai le dita sulla superficie fredda, e la condensa si schiarì, permettendomi di vedere.
Ne scorgevo appena il profilo, e fu mia fortuna capitare in quell'istante. Non seppi, nè probabilmente saprò mai quanto tempo passò; potrei dire secondi come anni. Non potrei dire neppure se fosse effettivamente passato del tempo. Dopodichè sparì, inghiottito da nuvole folte, spolverate di una luce tiepida, nè diurna nè notturna; come quella da cui il sole nasce, e in cui muore. Siedeva, ne ero sicuro; le sue gambe pendevano da qualche precipizio. Poi fu ancora quel tempo di indescrivibile durata. Fu, finchè non ebbi più speranza di vedere altro che quel cielo sterminato.
Da un drappo di nuvole, fecero capolino quattro pale, quindi un mulino. La sua base sembrava una piramide rovesciata estratta dalle viscere del mondo; e, alle pendici opposte di quella terra, lo vidi ancora. Mi dava ancora il suo profilo, e non si accorgeva di me. Pensai dormisse.
La luce non mutava mai. Sperai in un riflesso speculare, in uno di quei fasci luminosi che sorprendono e rischiarano ogni cosa; speravo ne centrasse il volto. Una chioma lunga quanto bastasse gli perimetrava i lineamenti, e mi era impossibile guardarlo negli occhi.
Le mie mani scivolarono più e più volte sulla finestra. La fronte e le dita erano incollate da quando posi sguardo a quel panorama; il vetro era rigato da perle del mio sudore. Lo vedevo, immobile, immutevole; ma in me i sentimenti erano alla deriva. Provavo interesse; passione; angoscia; tormento; dolore; rabbia; pazzia. Le labbra erano incollate fra loro. Riuscii a strapparle. Le parole mi uscirono trasandate, ma limpide; quel luogo sereno mi aveva intriso l'anima.

-Chi sei.
...
-Da dove vieni.
...?
-Perchè sei lì.
...Tu credi che sia?
-...Sì.
Perchè mi parli?
-Non lo so.
Perchè mi cerchi.
-Tu sei qualcosa.
Quasi.
-Da quanto aspetti?
Tu mi aspettavi.
-Sei solo su quell'isola.
Da cosa mi parli?
-La chiamiamo Torre.
Come chiami quello che vedi qui?
-...Non ha nome.
Dunque "torre" è il tuo mondo.
-Mondo?
La tua isola.
-Ma noi siamo in molti.
Tu guardi nel vetro.
-Non ho altro alle spalle.
Dunque, sei solo in quel mondo.
-...

Mi sconvolgeva. Ma ne volevo ancora.

-Hai uno scopo?
Ogni cosa che vedi.
-Io vedo niente.
Dunque vedi.
-Qui c'è il nulla.
Sbagliato.
-Esiste tanto altro.
Parlamene.
-Idee, forme, corpi, oggetti.
Di questi, qui vedo tutto.
-Stimoli.
Perchè sei qui?
-Esseri.
Non troverai altro oltre a questo.
-Se non ci fosse il vetro...
Non ci sarebbe tutto il resto.
-Il vetro è al centro?
Il vetro è parte del centro. Il tutto è il centro.
-Potrebbe mancare parte del centro.
Puoi togliere qualcosa a un punto?
-No.
Il centro è un punto.
-...Perchè sei qui?
Qui è il centro.
-Chi mai può essere al centro?
Sei perspicace.
-Dimmi il tuo nome.
Sai che esiste. Sai dov'è.
-Dimmi il mio nome.
Adamo.
-Ti porterò nella Torre.
Prima di te l'ho vissuta.
-Diverrò te?
Tu sei me.
-Loro sapranno di te.
Vuoi dunque tornare al mondo?
-Mi piace questo centro.
Tuttavia, scegli i margini.
-E' la mia natura.
Identicamente imperfetto.
-Ma tu vivi al centro.
Di cosa?
-Dell'essere.
Tu non vivi me.
-Dunque io non sono.
Ti vorrò al mio fianco, al tuo ritorno.
-Ma ancora non sarò te.
Io sono. Tu oggi sei; domani tornerai.
-Rendimi saggio.
Prima impara la tua stoltezza.
-Così morirò.
Così tornerai.
-Come posso raccontarti?
Mi vorrai un nome migliore del mio.
-Onnisciente.
E' un buon inizio.

Staccai la fronte dal vetro. La piramide iniziò a sgretolarsi. Una dopo l'altra caddero le pale; il mulino piombò nella luce.
Per ultimo, cadde lui, trascinando con sè il ricordo di quelle parole. Si strappò la terra che aveva avuto per trono, e le polveri una ad una furono presto tutt'uno con il cielo.
Lo scorsi l'ultima volta, cadere nella feritoia di una nuvola candida, ma ineguale alla sua veste albina, splendida di volontà propria.
Il nembo si avvolse più volte in se stesso, sinchè di lui non restò che un vago ricordo. Mi voltai, e iniziai a vivere.
 
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joevanni90
view post Posted on 27/11/2007, 20:29




io nn vi scrivo nè poesie, nè racconti, nè libri.. vi do il link della mia galleria fotograFica di deviantArt: http://joevanni.deviantart.com/gallery/
buo0na visione!
 
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avrillino
view post Posted on 3/12/2007, 20:32




se volete ho qualke foto d 3 mie quadri... 2 sn inventati .. e 1 e la copia de "le demoiselles d'avignon" di picasso... spiegatemi cm faccio a metterle e quando avro tempo ce le mettero ..
***aVRiLLiNo***
 
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Serfs90
view post Posted on 22/12/2007, 10:10




CITAZIONE (Karst @ 27/11/2007, 16:21)
Non è la versione definitiva, ma non mi prende di impegnarmici 'sti giorni. L'ho scritta 1 settimana fa perchè ero fermo a casa e non sapevo che altro fare.
Tengo molto al parere degli altri, quindi per chi se la senta...

Windmill's Apologies
o del perchè l'uomo soffra di claustrofobia.


SPOILER (click to view)
Viveva un uomo alle rive del mondo.
Giorni e notti non esistevano; alle nuvole di vapore prendevano il posto nembi densi cangianti, che al tatto sembravano ali degli angeli. Il riverbero arancio, color delle albe e dei tramonti, era di un sole che non esisteva in quei cieli; una luce che esplorava ogni angolo, carezzandone le superfici, senza mai affondarvi un raggio che potesse frastornare quei luoghi: silenti, estemporanei. Così come loro, viveva.
Siedeva ai piedi del mondo. Attorno a lui scorreva, placidamente, come un ricordo che affiora e perisce. Ogni cosa navigava in quell'aria, pungente e fredda, profumata da polveri di petali, di una pianta che non era di terrestre stirpe. Egli era lì. Il solo, nei cieli della fine.
Il mento gli sfiorava il petto, i capelli costeggiavano il viso; le mani raccolte al grembo. Sembrava dormire. Ma le gambe, lentamente, dondolavano. In un cielo eterno, senza suoli alle sue radici, dondolavano.
Sporgeva dal suo lembo di terra. Unico giaciglio, quel morso di manto erboso, dal quale non cadere. Cadere e dimenticare, ed essere dimenticato. Da lì nulla poteva accedere, o fare ritorno. Non prima della fine.
Frangeva le nuvole, col suo esile corpo. Non sapeva dire se fosse lui ad andargli incontro, o loro a muoversi su di lui. Alle sue spalle, giravano lente, talvolta in un senso, talaltra l'opposto, le pale di un mulino, bianco, striato da vene orizzontali di rosso carminio. Si ergeva, diroccato ma dai colori perfetti, laddove quel triangolo di terra si allargava, per assumere la propria base: al vertice opposto, in una stretta convergenza, l'uomo sedeva.



Lo vidi dalla Torre. Trovai un giorno una finestra, rettangolare, opaca, e non seppi resistere. Passai le dita sulla superficie fredda, e la condensa si schiarì, permettendomi di vedere.
Ne scorgevo appena il profilo, e fu mia fortuna capitare in quell'istante. Non seppi, nè probabilmente saprò mai quanto tempo passò; potrei dire secondi come anni. Non potrei dire neppure se fosse effettivamente passato del tempo. Dopodichè sparì, inghiottito da nuvole folte, spolverate di una luce tiepida, nè diurna nè notturna; come quella da cui il sole nasce, e in cui muore. Siedeva, ne ero sicuro; le sue gambe pendevano da qualche precipizio. Poi fu ancora quel tempo di indescrivibile durata. Fu, finchè non ebbi più speranza di vedere altro che quel cielo sterminato.
Da un drappo di nuvole, fecero capolino quattro pale, quindi un mulino. La sua base sembrava una piramide rovesciata estratta dalle viscere del mondo; e, alle pendici opposte di quella terra, lo vidi ancora. Mi dava ancora il suo profilo, e non si accorgeva di me. Pensai dormisse.
La luce non mutava mai. Sperai in un riflesso speculare, in uno di quei fasci luminosi che sorprendono e rischiarano ogni cosa; speravo ne centrasse il volto. Una chioma lunga quanto bastasse gli perimetrava i lineamenti, e mi era impossibile guardarlo negli occhi.
Le mie mani scivolarono più e più volte sulla finestra. La fronte e le dita erano incollate da quando posi sguardo a quel panorama; il vetro era rigato da perle del mio sudore. Lo vedevo, immobile, immutevole; ma in me i sentimenti erano alla deriva. Provavo interesse; passione; angoscia; tormento; dolore; rabbia; pazzia. Le labbra erano incollate fra loro. Riuscii a strapparle. Le parole mi uscirono trasandate, ma limpide; quel luogo sereno mi aveva intriso l'anima.

-Chi sei.
...
-Da dove vieni.
...?
-Perchè sei lì.
...Tu credi che sia?
-...Sì.
Perchè mi parli?
-Non lo so.
Perchè mi cerchi.
-Tu sei qualcosa.
Quasi.
-Da quanto aspetti?
Tu mi aspettavi.
-Sei solo su quell'isola.
Da cosa mi parli?
-La chiamiamo Torre.
Come chiami quello che vedi qui?
-...Non ha nome.
Dunque "torre" è il tuo mondo.
-Mondo?
La tua isola.
-Ma noi siamo in molti.
Tu guardi nel vetro.
-Non ho altro alle spalle.
Dunque, sei solo in quel mondo.
-...

Mi sconvolgeva. Ma ne volevo ancora.

-Hai uno scopo?
Ogni cosa che vedi.
-Io vedo niente.
Dunque vedi.
-Qui c'è il nulla.
Sbagliato.
-Esiste tanto altro.
Parlamene.
-Idee, forme, corpi, oggetti.
Di questi, qui vedo tutto.
-Stimoli.
Perchè sei qui?
-Esseri.
Non troverai altro oltre a questo.
-Se non ci fosse il vetro...
Non ci sarebbe tutto il resto.
-Il vetro è al centro?
Il vetro è parte del centro. Il tutto è il centro.
-Potrebbe mancare parte del centro.
Puoi togliere qualcosa a un punto?
-No.
Il centro è un punto.
-...Perchè sei qui?
Qui è il centro.
-Chi mai può essere al centro?
Sei perspicace.
-Dimmi il tuo nome.
Sai che esiste. Sai dov'è.
-Dimmi il mio nome.
Adamo.
-Ti porterò nella Torre.
Prima di te l'ho vissuta.
-Diverrò te?
Tu sei me.
-Loro sapranno di te.
Vuoi dunque tornare al mondo?
-Mi piace questo centro.
Tuttavia, scegli i margini.
-E' la mia natura.
Identicamente imperfetto.
-Ma tu vivi al centro.
Di cosa?
-Dell'essere.
Tu non vivi me.
-Dunque io non sono.
Ti vorrò al mio fianco, al tuo ritorno.
-Ma ancora non sarò te.
Io sono. Tu oggi sei; domani tornerai.
-Rendimi saggio.
Prima impara la tua stoltezza.
-Così morirò.
Così tornerai.
-Come posso raccontarti?
Mi vorrai un nome migliore del mio.
-Onnisciente.
E' un buon inizio.

Staccai la fronte dal vetro. La piramide iniziò a sgretolarsi. Una dopo l'altra caddero le pale; il mulino piombò nella luce.
Per ultimo, cadde lui, trascinando con sè il ricordo di quelle parole. Si strappò la terra che aveva avuto per trono, e le polveri una ad una furono presto tutt'uno con il cielo.
Lo scorsi l'ultima volta, cadere nella feritoia di una nuvola candida, ma ineguale alla sua veste albina, splendida di volontà propria.
Il nembo si avvolse più volte in se stesso, sinchè di lui non restò che un vago ricordo. Mi voltai, e iniziai a vivere.

Mi è piaciuto molto, per quanto mi ricordi un pò l'atmosfera de "La Torre Nera" di Stephenk king, però sicuramente è scritto bene! Bravo.
 
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Deinal Feanhull
view post Posted on 30/3/2008, 18:52




piccolo tema sul mondo epico che mi ha dato la prof.... ci tenevo a scriverlo...

Per comprendere appieno il significato del mondo epico presentato nell' Iliade bisogna procedere con una lenta e sistematica "scomposizione in fattori primi" quindi con una serie di domande che scenderanno poi sempre più nei particolari.
La prima domanda che ci si dovrebbe porre è: Come è strutturato un mondo epico (in contesto interno ed esterno)?
Analizzando come prima cosa il contesto esterno in cui è racchiuso l'autore potremo rispondere in parte a questa domanda ritrovando riferimenti e collegamenti dal mondo reale e storico a quello epico creato dall'autore scendendo dunque anche nel contesto interno approfondendo la nostra analisi.
La grecia a quel tempo viveva in una struttura politica, economica, commerciale e militare completamente amministrata dalla figura autoritaria nota come "Vanax", una figura che, sicura del suo potere, esercita il suo dominio in completezza e ci porta, quindi, a riprendere in esame alcuni versi dello scritto Omerico come quelli racchiusi tra il centunesimo al duecentoquarantaseiesimo del primo libro, dove si nota con certezza di quale autorità possa disporre Agamennone, Vanax degli Achei, che addirittura nega un premio di guerra a non solo uno dei più valorosi guerrieri del mondo allora conosciuto ma addirittura ad il figlio di una dea, commettendo così un reato contro-natura al tempo conosciuto come "il peccato di Ubris".
Perché parlando di Ubris si parla di un reato "contro-natura"? Ebbene, con la risposta a questa seconda domanda risponderemo parzialmente anche alla nostra prima.
Nel mondo idilliaco gli Dei avevano un potere assoluto e avevano la facoltà di rendere gli uomini semplici pedine sotto il loro controllo, (cosa in netta contrapposizione con alcune delle religioni del mondo odierno, come il Cristianesimo, che concedono il libero arbitrio) ma questo, a quel tempo, era ritenuto del tutto naturale, quindi contro-natura era sinonimo di Contro gli Dei: gli Dei ti hanno creato, vivi grazie a loro e dunque sei di loro proprietà e ciò si può senza difficoltà notare leggendo con quale tranquillità e facilità gli Dei discutono sul da farsi riguardo la guerra di Troia e su come gestire il destino di ogni singolo personaggio nel libro IV, vv. 1-67; Lo Ubris è non riconoscere l'autorità degli Dei, rinnegarli, non rispettare la loro volontà, e la pena per questo peccato non è sicuramente cosa da poco.
C'era comunque qualcosa che neanche gli Dei potevano abbattere nell'uomo: il senso dell'onore. Lo stesso senso dell'onore e dell'orgoglio che porta Agamennone a sfidare Achille, lo stesso senso dell'onore che spinge Ettore, come vedremo nei vv. 1-130 del XXII libro, ad andare a combattere piuttosto che fuggire e scampare alla morte rimanendo con la sua famiglia.
E' l'onore che fa si che Achille rifiuti i doni dengi di un re che Agamennone gli porge nei vv 222-431 del libro IX, un onore ormai macchiato dall'affronto dell'Atride nel prendersi Briseide e che ormai non può essere ripulito con dei doni che paragonati all'orgoglio di Achille non sono niente.
L'onore, come ormai si sarà ben capito, è un tema portante e ricorrente nel mondo Omerico perché è ciò che distingue un eroe da una persona qualsiasi. La figura dell'eroe è una fonte di esempio, l'immagine della perfezione parziale dell'uomo, l'immagine del "Kalos kai Agatos" (bello e Forte), l'immagine che un eroe deve avere: un' immagine di bellezza e forza interiori ed esteriori.
Il Kalos kai Agatos è completamente riscontrabile in Ettore che si dimostrerà poi essere l'unico VERO eroe in tutta l'Iliade, anche se a questa affermazione una domanda ci sorgerà spontanea: Ma abbiamo detto che anche altri personaggi hanno dimostrato di voler difendere il loro onore, non sono eroi pure loro, essendo l'onore ciò che distingue un eroe?
La domanda è corretta ma il proprio onore deve essere protetto con intelligenza e rispettando i canoni del Kalos kai Agatos, questi altri personaggi hanno dimostrato si di essere degli "eroi" ma di esserlo senza completezza. Achille si è mostrato debole d'animo, sebbene deciso e fermo nelle sue azioni, quando ha rifiutato di combattere e ancora più debole si è mostrato quando piangendo scongiurava la madre di aiutarlo nel Libro I, vv. 345-427; Agamennone si è reso debole rifutando l'idea che lui, grande e potente, sarebbe rimasto senza premio di battaglia; ancora, e più di tutti, Paride si è dimostrato vigliacco nei vv. 1-83 del libro III quando prima spavaldo e superbo si atteggiava da grande guerriero e poi, alla vista di Menelao, scappava e si nascondeva.
Questi personaggi si sono battuti per mantenere intatto il loro onorne ma nel difenderlo con stoltezza o avventatezza si sono dimostrati deboli e quindi eroi Incopleti.
La società di oggi, purtroppo, non tiene più a questi valori che ormai sono ripudiati o confusi con altro, nella soicietà odierna l'essere persone che valgono è inconsapevolmente diventato sinonimo di essere più simile a "chi è meglio di te" cioè chi ormai segue lo standard di vita richiesto dal mondo e segue le mode che ti impongono di non essere te stesso mentre il valore ella società epica di Omero aveva un significato opposto, proteggere il proprio onore che è e deve essere protetto con la propria intelligenza e volontà non come fa chi ti sembra più... "eroe" di te, altrimenti ci si dimostra deboli ed incompleti...

Spero vi piaccia... e spero che per la mia prof sia abbastanza anche perché sono in quarto e se avessi continuato a scrivere per quanto volevo non avrei mai finito...
 
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6 replies since 25/11/2007, 20:36   295 views
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